Aerosol, Inquinante Atmosferico
Si definisce inquinante atmosferico qualunque sostanza, di origine antropica o naturale, presente in atmosfera in concentrazioni tali da avere effetti negativi sull’uomo, le cose o l’ambiente. Gli inquinanti atmosferici possono essere solidi, liquidi o gassosi.
Con il termine aerosol (spesso utilizzato come sinonimo di particolato atmosferico, Particulate Matter, PM) si intende una sospensione di particelle solide o liquide in aria. Tali particelle hanno caratteristiche fisico-chimiche (dimensione, forma, composizione, densità,…) tali da consentire la loro sospensione in atmosfera per lunghi periodi (minuti, ore, giorni,…) e che conservano le proprie caratteristiche per tempi tali da permettere la partecipazione a processi fisici e/o chimici come entità a sé stanti. Questa definizione comprende un insieme eterogeneo di particelle, con caratteristiche anche molto diverse in funzione di ambiente di provenienza (es. città o campagna), periodo dell’anno (mesi caldi o mesi freddi), sorgenti di emissione (traffico autoveicolare, riscaldamento, emissioni industriali o agricole, particelle di suolo erose e trasportate dal vento) e può cambiare nel tempo. L’aerosol è più concentrato nella bassa atmosfera, dove sono localizzate le sue sorgenti principali.
Sorgenti
Molte sorgenti naturali di particolato atmosferico esistono da sempre: le ceneri emesse con le eruzioni vulcaniche, le particelle di sale prodotte dalla rottura delle onde marine, il polline e le spore rilasciate dalle piante, il fumo degli incendi, la polvere sollevata dal vento sono tutti esempi di inquinanti naturali. L’uomo tuttavia ha aumentato la frequenza e l’intensità di alcune di queste sorgenti naturali, ma soprattutto ne ha introdotte di nuove.
L’aerosol può essere diviso in due grandi gruppi: aerosol di origine primaria e aerosol di origine secondaria. L’aerosol di origine primaria è emesso in atmosfera direttamente nella sua forma finale. Sarà dunque molto concentrato nell’area immediatamente circostante il suo punto di emissione. L’aerosol di origine secondaria è prodotto in atmosfera in seguito a reazioni tra inquinanti primari.
Le sorgenti di areosol atmosferico possono essere divise in due grandi gruppi:
– sorgenti naturali, sono ad esempio particelle di suolo erose e sollevate o risospese dal vento, spray marini, ceneri vulcaniche, materiale derivante da incendi forestali, pollini, spore, etc;
– sorgenti antropiche, sono legate principalmente all’uso di combustibili fossili (produzione di energia, riscaldamento, mezzi di trasporto, etc.), ad attività industriali (raffinerie, processi chimici, operazioni minerarie, etc.) e allo smaltimento di rifiuti (inceneritori).
Le particelle grossolane sono prevalentemente di origine naturale, mentre quelle più fini derivano per lo più da attività antropiche. A livello globale, le masse di particolato prodotte per cause naturali sono preponderanti rispetto a quelle prodotte dalle attività umane. Tuttavia le sorgenti antropiche sono in grado di immettere in atmosfera una maggior quantità di particelle contenenti sostanze con effetti negativi per la salute e per l’ambiente. Un’altra caratteristica tipica delle sorgenti antropiche è la tendenza alla concentrazione spaziale, che rende alcune zone maggiormente a rischio rispetto ad altre.
Esempi di sorgenti naturali e antropiche di aerosol.
Image credit: Center for Aerosol Impacts on Climate and the Environment CAICE.
Classificazione
La classificazione dimensionale dell’aerosol fa riferimento al diametro aerodinamico equivalente (dae), definito come il diametro di una particella sferica avente densità unitaria (1 g cm-3) e un comportamento aerodinamico uguale (stessa velocità di sedimentazione) a quello della particella considerata, nelle stesse condizioni di temperatura, pressione e umidità relativa. Il dae può quindi essere molto diverso dal diametro geometrico reale della particella, perché ai fini del comportamento aerodinamico entrano in gioco parametri che dipendono dalla superficie e dal volume della particella stessa, quali ad esempio l’attrito con l’aria e la spinta di galleggiamento.
In base alla dimensione delle particelle, l’aerosol può essere distinto in:
– PTS (Particelle Totali Sospese); particelle con diametro aerodinamico fino a 100 um.
– PM10; è la frazione di aerosol raccolta da un sistema di campionamento tale per cui le particelle con diametro aerodinamico uguale a 10 um sono campionate con efficienza del 50%.
– PM2,5; è la frazione di particolato raccolta da uno specifico sistema di campionamento tale per cui le particelle con diametro aerodinamico uguale a 2,5 um sono campionate con efficienza del 50%.
Per le frazioni PM10 e PM2,5 l’EPA (Environmental Protection Agency) ha pubblicato le curve di efficienza di raccolta dei campionatori unitamente alle specifiche per la costruzione delle teste di prelievo in relazione ai flussi di prelievo (EN 12341:2014).
È convenzione suddividere il particolato atmosferico in funzione del diametro aerodinamico nelle seguenti frazioni:
– coarse (grossolano): diametro aerodinamico compreso tra 2,5 e 10 um;
– fine (sottile): diametro aerodinamico inferiore a 2,5 um;
– ultrafine: diametro aerodinamico inferiore a 0,1 um.
In una tipica atmosfera urbana le particelle aerodisperse mostrano una caratteristica distribuzione dimensionale a tre mode:
- Mode di nucleazione e di Aitken (dae 0,005-0,1 um); in questo intervallo dimensionale è compresa la maggior parte delle particelle atmosferiche, che però, a causa della piccola dimensione, raramente rendono conto di una parte importante della massa totale del particolato presente in aria. Il tempo di residenza in atmosfera è tipicamente dell’ordine dell’ora per atmosfere poco inquinate e di meno di un’ora per aria inquinata o nelle nubi. I tempi sono brevi perché le particelle coagulano facilmente con altre particelle a dare particelle più grandi; di conseguenza queste particelle possono essere osservate solo nelle vicinanze delle loro sorgenti.
- Moda di accumulazione (dae 0,1-2,5 um); queste particelle in genere spiegano la maggior parte dell’area superficiale degli aerosol e una parte sostanziale della loro massa. Le particelle di questa moda derivano principalmente dalla coagulazione e aggregazione delle particelle più fini, dalla condensazione di vapori su particelle esistenti e dalla disgregazione chimico-fisica di particelle più grandi. Il nome di questa moda deriva dal fatto che entro il suo intervallo dimensionale i meccanismi di rimozione delle particelle sono meno efficaci, così che le particelle si accumulano in aria. Di conseguenza, il tempo di residenza è più lungo che per le altre due mode (è dell’ordine dei giorni) e queste particelle sono quelle che riescono a essere trasportate a distanze maggiori (fino a centinaia di chilometri).
- Moda delle particelle grossolane (dae >2,5 um); queste particelle si formano prevalentemente in seguito a processi meccanici (erosione delle superfici, risospensione di polveri dal suolo, attrito, alcuni processi industriali, ecc.). Queste particelle hanno velocità di sedimentazione sufficientemente grandi da potersi depositare nel giro di pochi giorni o ore.
In genere, le particelle con dae < 2,5 um rappresentano numericamente oltre il 95% delle particelle totali, mentre quelle di dimensioni maggiori (dae 5-50 um), essendo più pesanti, spiegano la maggior parte della massa del particolato in ambiente urbano.
Distribuzione dimensionale multi-modale dell’aerosol con le tipiche trasformazioni ed esempi di particelle per ciascuna moda.
Image credit: Deutscher Wetterdienst.
Processi di evoluzione
Una volta che le particelle di aerosol hanno raggiunto l’atmosfera vanno incontro ad un’evoluzione a opera di diversi meccanismi, quali condensazione, evaporazione, coagulazione e attivazione; inoltre, le specie chimiche che compongono gli aerosol possono essere coinvolte in vari tipi di reazioni chimiche. Alla fine, le particelle di aerosol potranno essere definitivamente rimosse dall’atmosfera per deposizione secca o umida.
La condensazione è un processo in cui specie semi-volatili passano dallo stato gassoso ad uno (liquido o solido) a maggiore densità. Il processo inverso alla condensazione è l’evaporazione. La coagulazione si verifica per collisione tra particelle che si muovono per agitazione termica, con formazione di particelle di maggiori dimensioni; in seguito a ciò si ha globalmente una perdita del numero di particelle, anche se la concentrazione in massa dell’aerosol atmosferico rimane invariata. L’attivazione delle particelle di aerosol a formare goccioline d’acqua (di nebbia o di nubi) si ha quando, in condizioni di sovrasaturazione, le particelle crescono rapidamente per condensazione su di esse di vapor acqueo. Oltre al vapor acqueo, alcuni gas solubili (es. HNO3) possono condensare durante il processo di attivazione.
L’aerosol viene rimosso dall’atmosfera per deposizione secca o umida. La deposizione secca è il trasferimento diretto alla superficie terrestre e procede senza l’intervento delle precipitazioni. La deposizione umida, al contrario, comprende tutti i processi che comportano il trasferimento alla superficie terrestre in forma acquosa (come pioggia, neve o nebbia). La deposizione secca è il meccanismo predominante di rimozione delle particelle che si trovano vicino al suolo, mentre ad altezze superiori a 100 m prevale lo scavenging operato dalle precipitazioni. Le particelle più grosse (dae > 1 um) subiscono più frequentemente sedimentazione, mentre le particelle con dae < 1 um sono rimosse più facilmente per diffusione verso la superficie terrestre, principalmente attraverso un processo di deposizione umida in seguito ad attivazione nelle nuvole e successiva precipitazione. A differenza dell’aerosol, una specie chimica può essere eliminata dall’atmosfera mediante i processi di deposizione appena descritti, oppure in seguito a reazioni chimiche. In particolare, tra i numerosi fenomeni fisico-chimici un ruolo predominante è rivestito dai processi fotochimici.
Processi di evoluzione delle particelle in funzione della loro dimensione.
Image credit: National Association of Geoscience Teachers NAGT.
Forze
Gli aerosol sono soggetti a vari tipi di forze: gravità, forza elettrostatica, termoforesi, diffusione browniana, inerzia.
Le particelle di diametro superiore a 100 µm precipitano velocemente in quanto, a causa della massa maggiore, risentono della forza di gravità più delle altre particelle. La forza elettrostatica entra in gioco solo nel caso di particelle cariche; viene sfruttata per classificare le particelle nel caso in cui sia nota la distribuzione di carica e/o sussista una relazione nota tra dimensione e carica. In presenza di un forte gradiente di temperatura entra in gioco la forza termoforetica, per la quale le particelle migrano dalla zona a temperatura più alta a quella a temperatura più bassa. Il moto browniano è legato al numero di interazioni (libero cammino medio) che una particella ha con l’ambiente circostante; esso aumenta col diminuire della dimensione delle particelle. Per inerziasi intende invece il momento che una particella possiede quando è in moto; le particelle grandi hanno massa maggiore, pertanto a parità di velocità possiedono inerzia maggiore rispetto alle particelle piccole.
L’inerzia e la diffusione browniana sono ampiamente sfruttate nella costruzione di impattori e filtri per particelle. Se un flusso di particelle con velocità costante incontra un ostacolo, tenderà ad evitarlo; tuttavia, se le particelle con inerzia piccola riescono a seguire il flusso dell’aria, le particelle con inerzia maggiore non riescono ad aggirare l’ostacolo e rimangono bloccate. Su questo principio si basano gli impattori, il cui compito è di rimuovere dal flusso le particelle di diametro maggiore rispetto a un valore fissato. Nel caso della filtrazione, la diffusione browniana aumenta la probabilità che una particella piccola rimanga intrappolata tra i pori di un filtro.
Meccanismi di cattura di un filtro.
Image credit: The Environmental Consultancy.
La filtrazione e l’impatto sono ampiamente utilizzati nei campionamenti gravimetrici; in questo caso una pompa aspira le particelle verso un impattore che lascia passare soltanto le particelle più piccole di un determinato diametro, le quali andranno poi a depositarsi su un filtro posto a valle. Cpn questo sistema in genere si campionano le frazioni PM10, PM2,5 e PM1.
Effetti sull’uomo
Il particolato atmosferico viene collocato tra i principali fattori di rischio ambientale per la salute. L’esposizione ad inquinamento atmosferico è particolare poiché è estesa a tutta la popolazione, è praticamente inevitabile (soprattutto per i cittadini di grandi aree urbane) e non è riducibile a zero. Le ricerche epidemiologiche sugli effetti del particolato atmosferico sulla salute sono relativamente recenti. La maggior parte degli studi sul particolato effettuati finora mostrano l’esistenza di associazioni statistico-epidemiologiche, ovvero una supposta consequenzialità causale tra l’aumento di inquinamento e l’aumento di patologie.
Le caratteristiche delle particelle che determinano gli effetti che avranno sulla salute umana sono la dimensione e la composizione chimica. La dimensione determina la capacità della particella di penetrare e depositarsi nell’apparato respiratorio. In tal senso, si distinguono tre frazioni:
– frazione inalabile: sono tutte le particelle che riescono a entrare dalle narici e dalla bocca;
– frazione toracica: sono le particelle che riescono a passare attraverso la laringe e ad entrare nei polmoni durante l’inalazione, raggiungendo la regione tracheo-bronchiale (inclusa la trachea e le vie cigliate);
– frazione respirabile: sono le particelle sufficientemente piccole da riuscire a raggiungere la regione alveolare, incluse le vie aeree non cigliate e i sacchi alveolari.
Più le particelle penetrano in profondità nell’apparato respiratorio, maggiore sarà l’effetto tossico che possono produrre. Inoltre, le particelle ultrafini possono superare la barriera alveolare, entrando così nel circolo sanguigno.
Per quanto riguarda la composizione chimica delle particelle, il rischio è associato in particolare al contenuto di metalli pesanti (Pb, Cd, As, Zn, Hg…) e di diversi cancerogeni (ad esempio, Idrocarburi Policiclici Aromatici). Importante è anche l’acidità delle particelle, associata principalmente alla frazione fine (le particelle più grosse, essendo costituite essenzialmente da materiale crostale, sono alcaline), che dipende dal grado di neutralizzazione di composti acidi (principalmente acido solforico e acido nitrico con ammoniaca).
Deposizione dell’aerosol nell’apparato respiratorio in funzione della dimensione delle particelle.
Image credit: Lílian Lefol Nani Guarieiro and Aline Lefol Nani Guarieiro (2013). Vehicle Emissions: What Will Change with Use of Biofuel?, Biofuels – Economy, Environment and Sustainability, Prof. Zhen Fang (Ed.), InTech, DOI: 10.5772/52513.
L’inquinamento atmosferico non dà origine a una malattia specifica, ma può contribuire ad una vasta gamma di processi multi-causali. È utile distinguere due tipologie di effetti dovuti a differenti modalità di esposizione agli agenti inquinanti, sebbene concretamente questi tendano a sovrapporsi.
Gli effetti acuti sono quegli effetti che si manifestano in un breve arco di tempo (entro giorni o settimane) a seguito di un’esposizione non prolungata (dell’ordine di giorni o settimane), ma intensa all’inquinamento atmosferico. In caso di aumento dell’inquinamento si verifica un brusco incremento di sintomi respiratori quali tosse, attacchi d’asma, polmonite, aggravamento di bronchiti croniche, disturbi respiratori, aritmia o infarto miocardio. Si considerano effetti cronici quei danni alla salute umana che sopraggiungono a seguito di un’esposizione prolungata (mesi o anni). Variazioni su scala giornaliera delle concentrazioni atmosferiche di inquinanti non avrebbero influenza diretta su questi effetti a lungo termine; questi, invece, subirebbero una significativa diminuzione nell’arco di anni a seguito di un consistente miglioramento della qualità dell’aria. Ricerche condotte negli Stati Uniti e in Europa mettono in luce che l’esposizione cumulativa all’inquinamento atmosferico riduce lo sviluppo polmonare nei bambini, accelera l’“invecchiamento” delle funzioni polmonari negli adulti, aumenta la comparsa di sintomi respiratori di carattere cronico e può dare luogo anche ad una maggiore incidenza del tasso di tumore ai polmoni negli adulti. Tutti questi effetti, considerati nella loro globalità, conducono ad una riduzione dell’aspettativa di vita. Gli effetti degli inquinanti atmosferici sulla salute umana si riscontrano in aumento di patologie respiratorie, diminuzione degli indici di funzionalità polmonare, rischio di tumori e leucemie dovuti principalmente al PM2,5. Rimarrebbe al PM10 la responsabilità dei sintomi delle alte vie respiratorie, quali la tosse.
Gli episodi acuti di inquinamento determinano nella popolazione adulta in buona salute effetti clinici lievi, con una piccola riduzione delle prestazioni polmonari, che il singolo può anche non avvertire, ma che hanno grande rilevanza epidemiologica e grande impatto sulla salute pubblica, determinando l’aumento di numerosità delle classi di popolazione con ridotta funzionalità respiratoria. Dagli studi effettuati emerge come non si possa definire una soglia di concentrazione di particolato al di sotto della quale vi sia effetto nullo sulla salute.
Effetti sull’ambiente
L’aerosol ha un effetto diretto e un effetto indiretto sul clima: interagisce sia con la radiazione a onda corta proveniente dal sole, sia con quella a onda lunga proveniente dalla terra. Il risultato di queste interazioni dà luogo all’effetto diretto. Nella maggior parte dei casi l’aerosol riflette la radiazione, mentre in qualche caso la assorbe. Il risultato netto è, mediamente, una riduzione della radiazione solare in arrivo sulla superficie terrestre (quindi l’aerosol porterebbe ad un raffreddamento radiativo del pianeta). Per effetto indiretto si intende invece il processo che porta alla formazione delle nubi. La riflessione della radiazione solare da parte delle nubi porta ad un raffreddamento radiativo della superficie della Terra. Le nubi possono avere però anche un ruolo nei fenomeni d’assorbimento della radiazione infrarossa terrestre, contribuendo in questo caso positivamente al riscaldamento della Terra.
L’aerosol ha effetti anche sul microclima urbano. Infatti, nelle città l’inquinamento dell’aria contribuisce all’effetto “isola di calore” poiché inibisce la perdita di radiazioni a onde lunghe di notte. Oltre a questo, il particolato presente su città di grandi dimensioni può ridurre la quantità di radiazione solare che raggiunge la superficie. Inoltre, le numerose attività umane nelle aree urbane producono grandi quantità di particelle che possono agire come nuclei di condensazione, favorendo la formazione di nubi e nebbie.
La visibilità è definita come la più grande distanza, in una certa direzione, alla quale viene visto e identificato un oggetto scuro alla luce del giorno, o una fonte di luce non focalizzata nella notte. La riflessione della radiazione solare ad opera delle particelle di aerosol di dimensioni nell’ordine della lunghezza d’onda del visibile è il fenomeno principalmente responsabile della diminuzione della visibilità atmosferica.
L’aerosol ha anche effetti sugli ecosistemi e sulle superfici. Ad esempio, in seguito a deposizione secca o umida, può contribuire all’acidificazione e all’eutrofizzazione dell’ambiente terrestre e acquatico. L’acidificazione dei suoli può portare al rilascio di elementi tossici come l’alluminio, comportando seri danni alle piante e alle varie forme di vita acquatica. Inoltre si hanno effetti diretti sulla vegetazione in relazione ad un’azione acida e ossidante delle particelle, che porta al danneggiamento dei tessuti vegetali. Il clima e l’inquinamento atmosferico, interagendo tra loro, degradano il patrimonio artistico, architettonico ed archeologico. L’aerosol agisce sui materiali lapidei principalmente annerendoli.
Effetti di riscaldamento/raffreddamento sul clima ad opera di diversi agenti.
Image credit: NOAA Earth System Research Laboratory.
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